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Sangue di pesce

E’ strana la cieca fiducia con cui si dà credito ai proverbi, anche quando sono assolutamente falsi o ingannevoli.
La volpe non è più furba degli altri animali da preda, ed è assai più stupida del lupo e del cane; la colomba non è affatto mite.
Quanto al pesce, la “vox populi” non diffonde che menzogne: esso non ha quel “sangue di pesce” che si attribuisce alla gente stucchevole, nè gode di quella salute invidiabile cui fa pensare l’espressione “sano come un pesce”.

Al contrario, nessun gruppo di animali è tormentato come i pesci dalle
malattie infettive, anche nello stato naturale di libertà.
Non mi è mai accaduto che un uccello, un rettile o un mammifero, appena catturati, introducessero una malattia infettiva nella colonia animale.
Ogni nuovo pesce, invece, deve passare prima dall’acquario di quarantena, altrimenti posso scommettere che ben presto, sulle pinne dei veterani dell’acquario, compariranno i temuti puntini bianchi, segni dell’infezione del parassita Ichthyophthirius.

Ichthyophthirius-malattia dei puntini bianchi

Per smentire un altro luogo comune, quali creature ne sanno di più di alcuni pesci… sul bacio?
Io conosco a fondo molti animali, ne conosco il comportamento anche nelle situazioni più intime e delicate, nell’estasi selvaggia della lotta e dell’amore, ma, a parte il canarino selvatico, non so proprio quale di essi possa avere un temperamento più ardente dello spinarello maschio in amore, o di un pesce combattente siamese, o di un pesce persico.
Nessun animale viene così totalmente trasfigurato dall’amore, nessuno arde di passione, in senso così letterale, come uno spinarello o un pesce combattente.

Chi potrebbe esprimere in parole, o riprodurre pittoricamente, quel rosso incandescente che rende diafani e trasparenti i fianchi dello spinarello maschio?… Quel verde azzurro iridescente del suo dorso, dalla luminosità paragonabile solo a certe luci al neon?… E infine, quello squillante verde smeraldo del suo occhio?

Secondo le regole del gusto artistico, l’accostamento di questi colori dovrebbe dare un risultato orribile e stridente; invece, quale meravigliosa sinfonia producono, se composti dalla mano del grande Maestro!

Nel pesce combattente, i colori non sono sempre così splendidi.
Il pesciolino grigio-bruno, che sta nell’angolo dell’acquario, con le pinne ripiegate, non lascia intravedere nulla di speciale.
Solo quando un altro pesce, a tutta prima non meno scialbo, gli si avvicina e i due si guardano, esplode questo incredibile splendore… con la rapidità con cui si fa incandescente il filo di una stufa elettrica, allo scattare dell’interruttore.

Maschio di Betta splendens
Maschio di Betta splendens (Pubblico Dominio)

D’un tratto le pinne si spiegano a ventaglio, e ci si aspetta quasi di udire il rumore di un ombrello che si apre all’improvviso.
Segue poi una danza di passione ardente, una danza che non ha nulla di giocoso, profondamente seria, una danza per la vita o per la morte.

Infatti, stranamente, all’inizio non è ancora chiaro se la danza preluda al corteggiamento e all’accoppiamento… o se debba invece evolvere, in altrettanto rapida transizione, in una lotta cruenta: i pesci combattenti non riconoscono il sesso di un loro simile, a prima vista, ma solo dal modo in cui questo risponde ai movimenti di danza, che si svolgono secondo un rigido rituale istintivo ed ereditario.

L’incontro di due pesci combattenti, che ancora non si conoscono incomincia con la cosiddetta “imposizione”; cioè con una prestigiosa esibizione in cui viene potenziato al massimo l’effetto di ogni macchia colorata, nonché di ogni raggio iridescente delle meravigliose pinne.

Di fronte allo splendore del maschio, la femmina, più modestamente agghindata, ammaina presto presto la bandiera.

Betta splendens femmina
Betta splendens femmina

Questa espressione va intesa in senso letterale, in quanto l’animale ripiega le pinne; se non ha intenzione di accoppiarsi, se ne fila subito via.
Se invece è ben disposta, si avvicina al maschio con un particolare atteggiamento di “sottomissione”, un atteggiamento timido e insinuante, che è tutto l’opposto di quello baldanzoso ed esibizionistico di lui.

Allora incomincia una sarabanda amorosa che eguaglia, per grazia e delicatezza, anche se non per la magnificenza, la d anza bellicosa di due maschi.

Se invece l’incontro avviene fra due maschi, si assiste a una vera orgia di reciproche esibizioni, che dal punto di vista estetico sono lo spettacolo più bello che ci può offrire un acquario.
Ogni singolo movimento segue leggi ben precise ed esprime determinati significati “simbolici”, come avviene nelle danze rituali siamesi e indonesiane.

C’è una sorprendente somiglianza nello stile, e nella grazia esotica, con cui sia l’animale, sia l’uomo esprimono la passione rattenuta.
Osservando quei gesti, si comprende come ogni singolo movimento abbia dietro di sè una lunga storia… come la sua forma finemente elaborata derivi da un rituale antichissimo.

Ma mentre è evidente che, nell’uomo, questo rituale è il prodotto della tradizione storica di un popolo, è ovvio che nell’animale esso derivi dall’evoluzione filogenetica; comportamenti ereditari innati, propri alla specie.

A questo proposito, sono estremamente illuminanti le ricerche filogenetiche, sull’evoluzione di tali forme ritualizzate di espressione, nonché il confronto di simili cerimonie in specie affini.
Sull’evoluzione di questi movimenti, sappiamo più che su quella di tutti gli altri cosiddetti “istinti”…. Questo, però è un altro discorso.

Dopo questa digressione, torniamo alla danza bellicosa del pesce combattente maschio, che ha un significato assai affine alle vanterie e alle ingiurie che si scambiavano gli eroi omerici, o alle tenzoni verbali che ancor oggi i nostri valligiani intrecciano all’osteria.
Lo scopo è di intimidire l’avversario, ma al tempo stesso di farsi coraggio, inculcando a se stessi la necessaria baldanza.

Betta splendens in Parata
Betta splendens in Parata

Nei pesci, la lunghezza dei preliminari, il loro carattere rituale, soprattutto il grande sfoggio di colori e il dispiegamento delle pinne, sono tutti atti che mirano ad intimidire l’avversario; non hanno alcuna finalità più concreta.
Questi atti nascondono al profano la minacciosa serietà della situazione.

La bellezza fa apparire gli avversari meno incattiviti di quanto non siano in realtà, tanto che non li si crederebbe capaci di quell’aspro e disperato coraggio, così come non se ne crederebbero capaci i leggiadri e femminei Malesi.
Eppure, gli uni e gli altri sanno combattere fino all’ultima goccia di sangue.

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Le battaglie, tra i pesci combattenti, conducono molto spesso alla morte di uno degli avversari. Quando l’eccitazione è giunta al punto di provocare il primo colpo di spada, bastano pochi minuti perchè compaiano ampi squarci nelle pinne; dopo qualche altro minuto, esse sono tutte lacere e strappate.

Il suo metodo di attacco, come di quasi tutti i pesci bellicosi, è proprio il “colpo di spada”, non il morso.
Il pesce spalanca le mascelle, a tal punto che tutti i denti restano rivolti verso l’esterno; poi li conficca nel fianco dell’avversario, con tutta la straordinaria forza del suo corpo muscoloso.

L’impeto di tali pesci, lunghi pochi centimetri, è così forte e violento che si percepisce chiaramente il rumore dei denti, quando invece dell’avversario, per caso, vanno a colpire la parete della vasca.

L’esibizione reciproca può durare anche qualche ora, ma una volta scoppiate le ostilità, bastano spesso pochi minuti perchè uno dei due contendenti giaccia sul fondo, ferito a morte.

Diversissime, da quelle dei pesci combattenti siamesi, sono le battaglie dei nostri spinarelli europei.

Gasterosteus aculeatus

A differenza dei primi, gli spinarelli in amore ardono, non solo alla vista di un avversario o di una gentil dama, ma anche quando si trovano in vicinanza del luogo scelto per nidificare: “A ogni spinarello il suo nido è bello”.

Ponetelo accanto a un altro maschio, lontano dal nido e fuori della sua vasca abituale; egli non si sognerà neppure di lottare, facendosi anzi piccolo e brutto.
Sarebbe impossibile servirsi degli spinarelli come pesci da combattimento, come fanno da secoli i Siamesi con i loro pesci combattenti.

Solo quando ha trovato un nido, lo spinarello può entrare in fregola e raggiungere la massima eccitazione sessuale; quindi, per assistere a una vera lotta fra spinarelli, bisogna tenerli in un grosso recipiente dove due maschi costruiscano il loro nido.

In ogni momento le velleità bellicose di uno spinarello sono inversamente proporzionali alla sua distanza dal nido.
Quando poi vi si trova dentro, è preso da una vera e propria furia guerriera, per cui, incurante della vita, è capace di addentare perfino la mano dell’uomo.
Invece, quanto più si allontana dal suo quartier generale, tanto più si indebolisce in lui l’istinto guerriero.

Spinarello

Quando due maschi ingaggiano una battaglia, è possibile prevederne l’esito con buone probabilità: soccomberà quello che si trova più lontano dal nido.
Nelle sue immediate vicinanze, anche lo spinarello più minuscolo sconfigge il più grosso; le capacità bellicose dei singoli individui si misurano dall’estensione del territorio, che riescono a tener libero da rivali.

Quando uno spinarello soccombe, esso naturalmente corre subito a casa; altrettanto naturalmente, il vincitore imbaldanzito lo insegue furioso.
Man mano che si allontana dal suo dominio, però, scema proporzionalmente il suo coraggio, mentre aumenta quello del vinto fuggitivo.

Giunto in vicinanza del proprio nido, questi guadagna nuove forze, e con un rapido dietrofront si avventa furiosamente sull’inseguitore.
Comincia così una nuova battaglia che termina con assoluta certezza con la vittoria dello sconfitto di prima, allora ricomincia l’inseguimento in direzione opposta.

Si ripete così per più volte l’alterna vicenda, l’inseguimento reciproco tra un territorio e l’altro, e le oscillazioni pendolari diventano man mano meno ampie, finchè si arrestano presso un “confine” più o meno costante, dove i due avversari si fronteggiano in atteggiamento minaccioso, come due misirizzi in posizione rovesciata, la testa in giù e la coda in su.

Presentandosi rispettivamente il fianco, ed erigendo minacciosamente la spina ventrale verso quella dell’avversario, eseguono peculiari movimenti verso il basso, come se volessero prendere del cibo sul fondo; in realtà, questo gesto costituisce una ripetizione, ritualizzata, del movimento con cui sogliono scavare il nido.
Si possono sempre osservare questi movimenti, infatti, in un pesce che non ha più il coraggio di lanciarsi all’attacco.

A differenza del pesce combattente, lo spinarello non perde tempo in minacce prima di iniziare la battaglia; incominciano subito a piovere i colpi da entrambe le parti, con tale rapidità che l’osservat
ore non riesce quasi a seguirli.

La grossa spina ventrale, che sembra tanto pericolosa, nella lotta svolge solo una funzione secondaria; eppure, la mischia selvaggia degli spinarelli ha l’aria di essere assai più cruenta, rispetto alla danza guerriera dei pesci combattenti.
Mentre costoro, però, già dopo i primi colpi presentano profondi squarci nelle pinne, i primi non subiscono alcuna lesione visibile a occhio nudo.

Se nel nuovo Brehm si legge che “la spina ventrale viene usata con tale violenza, che spesso uno dei contendenti cade trafitto sul fondo…”, ciò dimostra solo che l’autore non ha mai tentato di “trafiggere” uno spinarello.

celebre, monumentale opera “La vita degli animali”
La celebre, monumentale opera “La vita degli animali” di Alfred Edmund Brehm (1829-1884), più volte ripubblicata, in edizioni ampiamente rimaneggiate e aggiornate.

Neanche lo strumento più affilato riesce, talvolta, a trafiggerne la dura pelle, neppure nei punti in cui non è corazzata.

Ponete uno spinarello su una superficie morbida (che fornirà pur sempre una resistenza maggiore dell’acqua), prendete un ago appuntito (dieci volte più appuntito della sua spina ventrale), provate a trafiggere il corpo dell’animale… e vedrete che la cosa non è affatto facile.

Spinarello

Naturalmente, in uno spazio ristretto, lo spinarello più forte riuscirà infine a ferire a morte il più debole, incalzandolo senza tregua, lacerandogli le pinne e l’epidermide; ma in simili condizioni, anche un coniglio o una tortorella riuscirebbe a conciare in quel modo l’avversario.

I due pesci dal temperamento più focoso sono assai diversi, tra loro, nell’amore, non meno che nell’ira e nella lotta, pur avendo molti aspetti in comune.
In entrambe le specie è il maschio, non la femmina, che si preoccupa di costruire il nido e si prende cura della prole; solo quando è pronta la culla, per i piccoli che nasceranno, il futuro padre comincia a pensare all’amore.
Qui, però, finiscono le somiglianze e iniziano le differenze.

La culla degli spinarelli si trova, per così dire, in cantina; quella dei pesci combattenti in soffitta.
Gli uni scavano una buca sul fondo dell’acquario, gli altri costruiscono il nido sulla superficie.
Quelli si servono di filamenti vegetali e di una secrezione renale, questi di aria e saliva.

Il castello aereo del pesce combattente, e delle specie affini, consiste in un mucchietto compatto di bolle d’aria assai resistenti, che emergono un poco dall’acqua e sono tenute assieme da uno strato di saliva.
Già durante la costruzione del nido, il maschio irradia colori più splendenti, che acquistano ancor più in densità e iridescenza quando una femmina gli s’avvicina.

Con la rapidità del fulmine esso scatta verso di lei, poi si ferma avvampando. Se la bella è disposta a seguire il richiamo della natura, lo dà a vedere assumendo un colore caratteristico, attraversato da linee irregolari più chiare.
Con le pinne strette al corpo, nuota lentamente verso il maschio, che tremando di eccitazione, espande le sue pinne fin quasi a spezzarle, poi si mantiene sempre in posizione tale da presentare la meravigliosa vista dell’intero fianco.

Dopo un istante esso incomincia a dirigersi verso il nido, con ampi movimenti sinuosi, di una grazia estrema.
Che questo sia un gesto di invito, è chiaro anche a chi lo vede per la prima volta. E parimenti, è facile comprendere a prima vista il carattere “rituale” di questi movimenti guizzanti: tutto mira a
potenziare al massimo l’effetto ottico del movimento, attraverso l’ondeggiamento sinuoso del corpo e l’agitazione delle pinne caudali, minimizzando invece tutto ciò che può contribuire al suo effetto meccanico.

Il movimento significa dunque: “Io mi allontano, presto, vienmi dietro!”.
Il pesce, però, non va nè lontano nè in fretta, inoltre continua a voltarsi verso la femmina che lo segue, seppure timida ed esitante.
Così, la femmina viene infine attirata sotto il nido di schiuma.

Ora si svolge quella stupenda danza amorosa che certi acquariofili delle regioni alpine chiamano “Schuhplatter”; il che, senza dubbio, dimostra una certa grossolanità, perchè per la sua tenera grazia, questa danza assomiglia piuttosto a un minuetto.
Nello stile generale, invece, essa ricorda la danza in stato di “trance”, che si può vedere in un tempio balinese.

Una legge millenaria prescrive che, in questa danza amorosa, il cavaliere debba sempre presentare alla dama il proprio fianco, meravigliosamente iridato, e questa debba invece sempre
mantenersi ad angolo retto rispetto a lui.
Il maschio non deve mai neppure intravvedere il fianco della femmina, altrimenti diviene subito irascibile e perde d’un tratto la sua cavalleresca gentilezza.
Presso questi, e presso molti altri pesci, l’esposizione del fianco ha un significato bellicoso e virile; la sua vista provoca in ogni maschio un subitaneo mutamento di umore, per cui la passione più ardente si trasforma nell’ira più selvaggia.

Non volendo allontanarsi dal nido, il maschio si mu ove in cerchio attorno alla femmina, e, poichè questa ne segue ogni movimento, presentandogli sempre la testa, la danza amorosa si svolge in una zona circolare molto ristretta, proprio sotto il punto centrale del nido.

Betta Fasi di accoppiamento
(Licenza Creative Commons)

I colori divengono poi sempre più sgargianti, i movimenti sempre più eccitati, i cerchi sempre più stretti, finchè i due corpi giungono a toccarsi.
Allora, d’un tratto, il maschio avvolge strettamente il suo corpo attorno alla femmina, la fa voltare con dolcezza sul dorso, e i due compiono tremando il grande atto della procreazione, emettendo contemporaneamente uova e seme.

Dopo l’accoppiamento, la femmina rimane alcuni istanti come stordita, ferma sul dorso, mentre il maschio deve subito occuparsi di cose importanti.
Le minuscole uova, trasparenti come vetro, sono notevolmente più pesanti dell’acqua; tendono quindi a cader subito in profondità.
Ora, la posizione di accoppiamento è così saggiamente predisposta che le uova, cadendo, devono passar davanti alla testa del maschio, voltata in giù; il giovine padre, che se ne accorge subito, si scioglie dolcemente dall’abbraccio e si tuffa alla loro ricerca, le raccoglie coscienziosamente in bocca, l’una dopo l’altra, e le porta subito nel nido, stipandole tra le bollicine d’aria.
…E deve proprio sbrigarsi, non solo perchè non troverebbe più le piccole uova trasparenti, una volta che avessero toccato il fondo, ma anche perchè, se lasciasse passare anche solo un altro secondo, la femmina si  riscuoterebbe e si metterebbe anch’essa alla ricerca delle uova, raccogliendole in bocca.

Voi penserete certo che sia in ciò animata dalla buona volontà di aiutare lo sposo; vi aspettereste quindi di vederla riapparire ben presto, alla superficie, per stipare le uova nel nido; ma no, signori, aspettereste invano!
Queste uova non ricomparirebbero più, essendo state irreparabilmente inghiottite e divorate dalla madre.

Il maschio conosce dunque assai bene la causa di questa sua fretta, e sa anche perchè non deve più permettere che la femmina si avvicini al nido, quando, dopo dieci-venti accoppiamenti, essa avrà esaurito la sua riserva di uova.

Tutto diverso è il cerimoniale del cavalleresco pesce persico, della famiglia dei Ciclidi.

Perca fluviatilis

Qui, sia il maschio sia la femmina si prendono cura della prole, che in branco compatto segue i genitori come una nidiata di pulcini.

Compare qui per la prima volta, nella scala biologica, un comportamento che gli uomini ritengono moralmente assai pregevole: maschio e femmina rimangono strettamente uniti, conducono vita in comune anche dopo aver felicemente espletato il grande atto della procreazione.
Non solo finchè lo richiedono le esigenze della prole, ma, ciò che più conta, anche dopo.

In generale, per gli animali si parla di “matrimonio” già quando entrambi i sessi provvedono in
comune all’allevamento della prole, anche se non sussiste un vero legame “personale” tra i coniugi.
Nei ciclidi, però, questo legame certamente c’è.

Per poter stabilire, in modo obiettivo, se un animale riconosce personalmente il suo sposo, bisogna provare a sostituirlo con un altro esemplare dello stesso sesso, che si trovi nella stessa identica fase del ciclo riproduttivo.

Perca fluviatilis

Se, per esempio, in una coppia di uccelli, si sostituisce una femmina che incomincia a covare, con un’altra femmina già entrata nel successivo stadio psicofisiologico dell’allevamento dei piccoli, il comportamento istintuale di lei, naturalmente, non si accorderà con quello del maschio.
Ne deriverà per forza una grave disarmonia; quindi non sarà possibile appurare se il maschio si sia veramente accorto che la femmina non è la sua moglie di prima, o se invece sia semplicemente infastidito dal suo comportamento “sbagliato”.

Naturalmente, io avevo un grande interesse teorico ad appurare come si comportasse, sotto questo aspetto, il pesce persico, l’unico pesce che contrae un vero e proprio matrimonio.
Per svolgere questo esperimento, mi occorrevano innanzitutto due coppie della stessa specie, che si trovassero anche nella stessa fase del ciclo riproduttivo.

Riuscii a soddisfare questa condizione nel 1941, venendo in possesso di due coppie del magnifico grosso pesce sudamericano Herichthys cyanoguttatus, che significa “pesce eroico dalle macchie blu”.
Il nome è pienamente giustificato: sul nero sfondo vellutato, le macchie blu turchese formano un intricato mosaico di una bellezza davvero sconvolgente.

Herichthys cyanoguttatus

Una coppia di questi pesci, intenta alla cova, mostra, anche di fronte all’avversario più imponente, un coraggio tale che certamente ne giustifica il nome.
Quando ne entrai in possesso, i miei cinque giovani pesci di questa specie non erano nè
maculati nè eroici.

Dopo alcune settimane di sostanzioso nutrimento e di rigogliosa crescita, in un grande acquario soleggiato, un giorno comparvero le macchie blu e, proprio simultaneamente, il coraggio in uno dei due maschi più grossi, che prese possesso dell’angolo anteriore sinistro della vasca.
Scavò un profondo buco per il nido e cominciò a preparare, per potervi poi deporre le uova, una grossa pietra liscia, ripulendola accuratamente dalle alghe e dalle altre impurità che vi si erano depositate (fin da prima avevamo posto le pietre adatte, agli angoli della vasca).

Gli altri quattro pesci se ne stavano ansiosi in un gruppetto compatto, all’angolo destro posteriore in alto.
Già il giorno seguente, uno di questi, più minuto, aveva cominciato a indossare il suo abito di gala; la pettorina di velluto nero, priva di macchie, lo rivelò come una femmina.

Herichthys cyanoguttatus

Il maschio si affrettò subito a portarsi a casa la sua bella, con un cerimoniale assai simile a quello dello spinarello e del pesce combattente.

La coppia ora se ne stava sopra la pietra che albergava il nido, difendendo aspramente il proprio territorio.
Gli altri tre pesci avevano poco da stare allegri; ci volle proprio l’eroismo cui accenna il loro nome, perchè alcuni giorni dopo, il secondo pesce grosso, facendosi coraggio, conquistasse l’angolo
destro anteriore in basso.

Ora i due maschi si fronteggiavano ostili, come due signorotti nemici nel loro castellaccio.
Il confine passava più vicino al dominio del secondo pesce, quello che era entrato in fregola più tardi; la cosa è comprensibile, se si pensa che questo, avventurandosi fuori del suo angolo, trovava due avversari pronti a saltargli addosso, anche se la femmina aggredisce con meno violenza del maschio.

Il maschio solitario, che chiameremo semplicemente numero due, continuava ciononostante ad avventurarsi nelle acque extraterritoriali circostanti il suo regno, cercando di indurre la femmina del numero uno a seguirlo nel suo nido.
Ma i suoi sforzi erano sempre vani, e non gli procuravano altro che pesanti colpi d’ariete nel fianco indifeso, da parte della femmina del numero uno, quando esso cercava di sedurla esibendo il proprio fianco.

La situazione si protrasse inalterata per parecchi giorni.
A questo punto sembrò annunciarsi un finale roseo con duplici nozze, perchè anche una seconda femminuccia indossò l’abito da sposa.
Invece non accadde nulla di simile. Il maschio numero due non prestò alcuna attenzione a questa nuova femmina entrata in amore; lei, dal canto suo, non voleva saperne di lui, e cercava invece ripetutamente di accostarsi al maschio numero uno.
Ogni volta che questi si dirigeva verso il proprio nido, la numero due lo seguiva, nell’atteggiamento di una femmina che viene condotta a casa; si sentiva cioè “attirata nel nido” ogni volta che il maschio vi si dirigeva, incurante di lei.

La moglie sembrava rendersi ben conto della situazione, poichè ogni volta, al suo avvicinarsi, aggrediva furiosamente l’intrusa; il maschio invece l’attaccava, sì, ma molto blandamente.
Era come se il maschio e la femmina numeri due non esistessero neppure, l’uno per l’altro; entrambi avevano occhi solo per i membri felicemente sposati dell’altra coppia, i quali, a sua volta, non si curavano minimamente di loro.

La situazione si sarebbe prolungata ancora a lungo, se io non fossi intervenuto, ponendo i numeri due in un altro acquario, esattamente identico al primo.
Separati dall’oggetto del loro amore non ricambiato, i due incominciarono presto ad accorgersi l’uno dell’altra… e formarono una coppia.

Dopo pochi giorni, le due coppie deposero le uova, proprio alla stessa ora.
Avevo così ottenuto quel che volevo, due coppie di ciclidi nella stessa identica fase del ciclo riproduttivo.

Poichè tenevo moltissimo a quella specie di pesci, già rara anche allora, per fare il mio esperimento attesi che i figli delle due coppie fossero già cresciuti, in modo da poter sopravvivere anche in caso di una totale rottura coniugale fra i genitori.
A questo punto scambiai le due femmine.

Il risultato fu ambiguo, e non mi permise di stabilire in modo univoco se il pesce riconosce personalmente la sua femmina; dei fatti che seguono posso solo dare un’interpretazione, che a molti sembrerà azzardata, e che necessita di ulteriori conferme sperimentali.

Dunque… il maschio numero due accettò la femmina numero uno appena gli fu posta accanto.
Ho però l’impressione che la sostituzione non gli fosse affatto passata inosservata, poichè al cambio della guardia, e a ogni incontro con la femmina, i suoi movimenti mi sembravano più focosi e più intensi di prima.

Dal canto suo la femmina aderì immediatamente al cerimoniale del maschio; senza difficoltà, assunse le proprie mansioni nella cura della prole.
La cosa però, secondo me, non ha un gran significato; le femmine di questa specie, in questa particolare fase del ciclo riproduttivo, sono tutte concentrate sui piccoli, un po’ come le galline all’epoca della cova, e il maschio non presenta per loro alcun interesse, se non come difensore della famiglia e come momentaneo sostituto nelle cure parentali.

Nell’altro acquario, dove avevo presentato la femmina numero due al maschio numero uno (e ai suoi piccoli), le cose andarono in modo del tutto diverso.
Anche qui la femmina non ebbe occhi che per i piccoli: si diresse subito verso il loro branco, si pose sopra di loro e, resa inquieta dal cambiamento, cominciò a raccoglierli ansiosamente attorno a sè, proprio come la femmina numero uno aveva fatto nell’altro acquario.

Ma, mentre il maschio numero due aveva accolto con giubilo la nuova compagna, il numero uno si tenne in atteggiamento diffidente presso il branco dei piccoli: non si considerò affatto esonerato dalla sua funzione di custodia, e un istante dopo inferse all’ignara femmina un furibondo colpo nel fianco indifeso.
Alcune scaglie argentee cominciarono a fluttuare verso il fondo, simili a falde di mica, e io dovetti
tempestivamente intervenire a salvataggio della femmina, che altrimenti sarebbe morta scorticata nel giro di pochi minuti.

Che cosa era accaduto?… Beh, il pesce che aveva ricevuto la femmina più bella, quella che già aveva corteggiato in precedenza, era soddisfatto del cambio.
L’altro invece, cui era stata tolta la bella moglie e sostituita con una dama da lui già rifiutata in passato, era (si potrebbe dire non a torto) furibondo…. E, si noti, ora l’aveva aggredita molto più violentemente di quanto non avesse fatto prima, in presenza della sua legittima consorte.

Pur non potendolo giurare, credo proprio che anche il maschio numero due, quello che ci aveva guadagnato nel cambio, avesse notato la differenza.

Forse ancora più interessante e più affascinante, del comportamento amoroso di questi singolarissimi pesci, è per l’osservatore il modo in cui si prendono cura della prole.
Chi ha osservato questi animali non dimenticherà mai la vigile attenzione con cui custodiscono il nido, provocando (come gli spinarelli) una continua corrente di acqua fresca, per tutto il tempo in cui la culla contiene uova o pesci molto piccoli.
Nè mai dimenticherà i loro militareschi turni di guardia, e, più tardi, quando i piccoli sono già in
grado di nuotare, l’amorosa sollecitudine con cui guidano il piccolo branco obbediente.

La scena più graziosa è quella dei piccoli, già in grado di nuotare, che la sera vengono messi a dormire: ogni giorno, per parecchie settimane, all’imbrunire vengono ricondotti nella cavità dove hanno trascorso la prima infanzia; la madre si pone sopra al nido e, con determinati movimenti, attira i figliolini verso di sè.

Nel bel pesce gioiello, rosso con macchie azzurre iridescenti (Hemichromis bimaculatus), le ingemmate pinne dorsali della femmina svolgono una funzione particolare, movendosi su e giù a ritmo assai serrato, mentre le macchie blu iridescenti lampeggiano come un eliografo.

Hemichromis bimaculatus

A questo segnale i piccoli si avvicinano, raccogliendosi sotto la madre che li invita a entrare nel nido.
Nel frattempo, il padre esplora tutta la vasca alla ricerca di eventuali ritardatari; se li trova, non
perde tempo a chiamarli, limitandosi semplicemente ad aspirarli nella sua cavità orale, dirigendosi poi verso il nido dove li soffia fuori.

I piccoli cadono immediatamente sul fondo e lì rimangono; grazie infatti a un provvido gioco di riflessi, la vescica natatoria dei piccoli ciclidi addormentati si contrae così fortemente da divenire assai più pesante dell’acqua; quindi se ne rimangono sul fondo simili a piccole pietre, come accadeva quando erano neonati, e la loro vescica non era ancora piena di gas.

Questa stessa reazione del “diventar pesante” si verifica anche quando uno dei genitori prende in bocca un piccolo.
Senza tale meccanismo riflesso il padre non potrebbe tenere in bocca tutti i figlioletti quando va a cercarli la sera.
Una volta, proprio durante uno di questi trasporti serali dei piccoli ritardatari, un pesce gioiello si comportò in modo da lasciarmi stupefatto.

Ero venuto in istituto nel tardo pomeriggio, al crepuscolo, e volevo dar presto qualcosa da mangiare ad alcuni pesci che quel giorno non avevano ancora ricevuto nulla; tra l’altro anche a una coppia di pesci gioiello che stava allevando la prole.
Avvicinandomi alla vasca vidi che quasi tutti i piccoli erano già nel nido, gelosamente sorvegliati dalla madre, che non si mosse per prendere il cibo neppure quando gettai nell’acqua dei pezzetti di lombrico.
Il padre, invece, che tutto eccitato percorreva l’acquario in lungo e in largo alla ricerca dei piccoli dispersi, si lasciò attirare dalla coda di un bel vermicello (per motivi ignoti tutti gli animali che
si nutrono di vermi preferiscono la coda alla testa), distogliendosi così dalla sua occupazione.

Si avvicinò dunque ed afferrò il verme, che però, date le sue dimensioni, non riuscì a inghiottire subito.
Mentre lo stava masticando a piena bocca, vide uno dei suoi piccoli, che si era smarrito e nuotava da solo per la vasca.
Come fulminato guizzò via, raggiunse il piccolo e lo prese nella bocca, che era già assai piena.

Era un momento emozionante: il pesce aveva in bocca due cose diverse, una delle quali doveva finire nello stomaco, l’altra nel nido. Che cosa sarebbe accaduto?
Confesso che in quel momento non avrei dato un soldo per la vita del pesciolino.
Invece accadde una cosa veramente incredibile: il padre se ne rimase immobile, con le guance gonfie, ma senza masticare. Se mai ho visto un pesce riflettere, è stato proprio quella volta.

Che cosa straordinaria: un pesce che vive una vera e propria situazione conflittuale, nè più nè meno di un uomo, e che se ne sta lì immobile, senza via d’uscita, incapace sia di avanzare sia di retrocedere!
Per molti secondi il padre se ne stette lì bloccato, si poteva comprendere tutto ciò che accadeva in lui.
Poi risolse il conflitto in modo degno della più grande ammirazione: sputò fuori tutto il
contenuto della bocca; il verme cadde sul fondo, e così pure il piccolo pesce gioiello, divenuto pesante per la reazione sopra descritta.
Allora il padre si rivolse decisamente al verme, che divorò con gran calma, senza però perdere d’occhio il suo piccolo, che giaceva “obbediente” sul fondo. Quando ebbe finito, aspirò il piccolo e lo portò a casa dalla mamma.

Alcuni studenti, che avevano assistito all’intera scena, si misero come un sol uomo ad applaudire.

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