Il KH e i pesci
Ricapitoliamo:
- per quanto concerne i pesci il pH ci interessa relativamente;
- le durezze ci interessano di più, tuttavia…
- … il test del GH non ci aiuta.
Forse il KH è il parametro che fa per noi?
Il KH è la misura di carbonati e bicarbonati. Sebbene tali ioni possono provenire da qualunque sale, ad esempio da carbonati e bicarbonati di calcio, magnesio, sodio o potassio, il KH non tiene conto del calcio, del magnesio, del sodio o del potassio, che pure contribuiscono alla pressione osmotica!
E ancora peggio se, ad esempio, introduciamo in acquario cloruro di sodio, cloruro o solfato di calcio, cloruro o solfato di potassio… il KH non varia per nulla!
Quindi la risposta è… no!
Come per il GH, anche il KH è un riferimento che ci aiuta solo parzialmente a capire se la nostra acqua è adatta ai nostri pesci.
Ciononostante, il KH è un parametro utile da tenere sotto controllo per evitare gli sbalzi repentini di pH, che come abbiamo detto devono essere evitati.
Ciò che noi misuriamo con il test del KH, infatti, non è in realtà la durezza carbonatica, bensì… l’alcalinità, cioè tutti gli elementi che si oppongono alle variazioni del pH per effetto tampone!
Per scongiurare la possibilità di forti e repentini sbalzi del pH, dobbiamo quindi evitare che l’alcalinità scenda a zero, a meno che non sappiamo bene quello che facciamo (cioè abbiamo maturato una certa esperienza).
Nelle nostre acque, la funzione di opposizione alla variazione del pH è principalmente svolta da carbonati e soprattutto bicarbonati. Quindi l’associazione della durezza carbonatica con l’alcalinità misurata è comunque una buona approssimazione.
Il test per il KH funziona così: raccogliamo l’acqua dell’acquario e ci aggiungiamo goccia a goccia dell’acido cloridrico insieme ad una sostanza colorante (tipicamente il blu di bromofenolo).
L’acido, in acqua, libera ioni H+ che reagiscono con i bicarbonati HCO3 (e altri alcali che possiamo trascurare per semplicità) formando anidride carbonica e acqua:
HCO3– + H+ → CO2 + H2O
Durante il processo il pH scende poco, perché appunto gli ioni idrogeno aggiunti si combinano con i bicarbonati presenti. Ma, quando nella provetta non ci sono più bicarbonati, gli ioni H+ aggiunti con una sola ulteriore goccia restano liberi facendo crollare repentinamente il pH a valori bassissimi (anche sotto i 3 punti).
A questo punto interviene il colorante, chiamato anche indicatore, il cui colore vira nettamente (tipicamente dal blu al giallo) quando il pH scende sotto 4,6.
Infine: il KH può tornarci utile per modificare leggermente il pH (o meglio il suo valore medio, considerando le oscillazioni giornaliere che può subire), per portarlo in un range acido o basico più consono ai pesci che abbiamo, senza agire per questo sulla CO2.
Infatti, KH e pH sono legati: quanto più è basso il primo, tanto più il secondo sarà più basso a parità di CO2. Senza entrare nei dettagli matematici possiamo considerare che, dimezzando il KH (effettuando un cambio con acqua demineralizzata o magari aggiungendo un acido forte), otteniamo approssimativamente una riduzione del pH di circa 3 decimi di punto.
Il KH e le piante
Per quanto riguarda le piante, il KH ci interessa a causa dell’effetto-tampone.
Come abbiamo visto a proposito del test del KH, i carbonati (misurati in dKH) neutralizzano gli acidi trasformandoli in acqua e anidride carbonica.
In questo modo si oppongono all’acidificazione dell’acqua.
Quindi, se vogliamo portare il pH su valori più acidi per favorire l’assorbimento dei nutrienti, sarà più complicato farlo se il valore del KH è alto. Questo discorso non vale per l’acidificazione mediante CO2, che modifica il pH di una quantità indipendente dal KH.
Inoltre, come abbiamo detto in precedenza, KH e pH sono parametri collegati: se vogliamo abbassare il pH possiamo anche farlo riducendo direttamente il KH, senza aumentare la CO2 (perché magari non la vogliamo erogare artificialmente a questo scopo, oppure perché siamo già al limite sopportabile dai pesci).