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Come nasce una scrittrice

D. Lei si è laureata in microbiologia e ha collaborato con il governo statunitense come ricercatrice in biologia cellulare. Sarebbe logico pensare che le sue pubblicazioni siano attinenti ai suoi studi, invece tra i suoi scritti abbiamo il libro Ecologia dell’Acquario di Piante, un libro di storia della sua famiglia e addirittura un libro di ricette per la pentola a pressione.
Come mai ha pensato di scrivere su argomenti così differenti e non attinenti al suo lavoro?
Questo ci dà l’impressione di una personalità curiosa, profonda, eclettica… ma chi è veramente Diana Walstad?

R. Spero che le persone mi considerino per i miei libri, non per la mia personalità.

Dopo il 2000 ho cominciato a interessarmi di cucina e di storia. Dopo il successo del libro sull’acquario, pubblicato per la prima volta nel 1999, ero erroneamente convinta che potessero andare bene anche i libri scritti su questi nuovi soggetti. Credevo di poter dare un contributo unico anche su questi argomenti, come avevo fatto con il libro sull’acquario. Nel libro sulla pentola a pressione (2012) ho riportato la temperatura effettiva di vari cibi mentre venivano cotti a pressione (le ricette erano un modo per rendere più interessanti le misurazioni del calore). La mia cucina casalinga è leggermente migliorata, ma questo libro è stato un fallimento totale e l’ho tolto dal mercato. L’italiano medio è probabilmente un cuoco molto migliore di quanto io non sarò mai!

Come per il libro sulla pentola a pressione, nemmeno quello sul mio albero genealogico (2017) ha avuto un successo commerciale; tuttavia è stato un progetto molto più soddisfacente. Intorno al 2007 ho scritto una piccola storia sulla tragica morte di mia nonna Rose e sulla crisi che ha creato a mia madre, mia zia, mio ​​nonno, ecc. Ho anche scritto un’altra piccola storia su mio nonno Lambert, che da ragazzo ha lavorato nei giacimenti petroliferi della Birmania (1915-1916). A quanto pare queste due storie hanno spinto un mio cugino di secondo grado, che non avevo mai incontrato, a mandarmi (nel 2011) un CD contenente foto di famiglia e circa 15 interviste private che aveva condotto con familiari. Con questo succoso materiale ho visto l’opportunità di scrivere una storia complessa e interessante sulla famiglia di mia madre. Ho iniziato a rintracciare i parenti che non avevo mai incontrato, ho letto e imparato molto di storia e ho pagato genealogisti per riempire i «buchi neri». Stavo scoprendo le cose. È stato divertente! Intorno al 2015 ho iniziato ad affrontare il lato della famiglia di mio padre. Usando i suoi «diari di guerra» ho scelto di concentrarmi sul suo tempo trascorso come ufficiale medico in Cina durante la seconda guerra mondiale. Così mi sono immersa nella storia cinese e ho imparato di più su mio padre come persona. Il processo di scrittura del libro è stato stimolante; i risultati profondamente soddisfacenti. L’entusiasmo, mentre scrivevo questo libro, era identico alla preparazione di «Ecologia dell’Acquario di Piante».

Alcune persone non si allontanano mai dalla loro materia professionale. Se fossi stata una professoressa avrei potuto scrivere un libro sulla mia professione. Ma ero semplicemente un entusiasta tecnico di laboratorio che lavorava su una varietà di argomenti: fibrosi cistica, vie di segnalazione cellulare, anemia falciforme, ecc. Il mio precedente lavoro come tecnico mi ha dato una «mentalità» da ricercatrice. Mi piacciono le scienze e riesco a capire la letteratura scientifica. Mi sono resa conto che avrei potuto applicare questa mentalità scientifica per saperne di più su altre materie che mi interessavano. E avevo tre splendide biblioteche universitarie nelle vicinanze dalle quali potevo attingere. Ho avuto tempo, entusiasmo, risorse. Quindi perchè no?

D. Perché si occupa di acquari? Cosa le interessa, cosa l’affascina, cosa la spinge a dedicare tempo, energie e denaro a questo hobby?

R. Penso che i vostri lettori sappiano già il perché, visto che anche loro sono «vittime» della stessa attrazione. Ho sempre amato gli acquari, i pesci e le piante. Un acquario è un piccolo mondo naturale a sé stante. Da bambina catturavo Gambusia e girini, allevavo Poecilidi in bocce di vetro. Sicuramente poche cose sono più affascinanti che vedere una femmina di guppy partorire piccoli pesci già formati. A casa mia madre ha sempre avuto laghetti e acquari. Con i laghetti l’aiutavo a mescolare e versare il cemento: non usavamo né vasche, né teli di plastica. Aveva dei pesci rossi fantail che potevo rimanere a guardare per ore; le loro pinne fluenti sembravano le ali di un angelo.

D. Parlando di «Ecologia dell’Acquario di Piante»: quale è stato il punto di partenza?

R. L’obiettivo era quello di portare un po’ di buon senso e di informazioni scientifiche utili nell’hobby dell’acquariofilia. Ero sempre più costernata dalle assurde sciocchezze che dominavano questo hobby.

Sin da quando ero adolescente avevo sempre cercato, senza successo, di tenere le piante in un acquario. Nel 1987, quando ho iniziato di nuovo, ho deciso di allestire una vasca con un fondo composto da terriccio da giardino. Nonostante il giudizio convenzionale secondo il quale «la ghiaia va abbastanza bene», non potei fare a meno di notare che – nel loro habitat – le piante acquatiche crescono nel terreno e nei sedimenti. Con mia grande gioia le piante nella mia prima vasca con terriccio hanno iniziato a crescere come matte.

Nello stesso tempo ero sempre più attratta dalla letteratura scientifica. Quando ho avuto un’infestazione di Hydra nei miei acquari ho visitato la biblioteca di biologia dell’università per la prima volta. L’articolo che è nato in seguito (Hydra Eradication: The Egg is Everything) è stato pubblicato nel 1991 in una rivista nazionale di acquari. In seguito mi sono impegnata seriamente nello studio e nella conoscenza delle piante acquatiche, della loro ecologia, ecc. Ho fotocopiato e raccolto centinaia di ricerche. Ho creato un indice per soggetto – che ora è arrivato a oltre un centinaio di pagine – per organizzare i documenti e dare un senso a tutto questo. Continuo a usare questo indice per trovare documenti.

Se non avessi fatto scoperte entusiasmanti non avrei proseguito con il progetto. Ma, ovunque mi girassi, sembrava che stessi scoprendo qualcosa di nuovo e interessante. Un altro esempio: all’epoca io e la maggior parte degli acquariofili pensavamo che le specie di piante acquatiche provenienti da habitat di acqua tenera dovessero essere coltivate in acque tenere. Ma ciò contrastava con il fatto che i vivai coltivavano tutte le loro piante in acqua molto, molto dura. Come poteva essere? Così, nel 1998, ho fatto un esperimento confrontando la crescita di specie di acqua dura e di acqua tenera. Sorprendentemente tutte le specie di piante sono cresciute meglio in acque dure e in un terreno alcalino, piuttosto che in acque tenere con un terreno di torba.

D. Avrebbe potuto fare ricerche su una linea di fertilizzanti che ora avrebbe il suo nome, o su quale terriccio fosse meglio utilizzare…

R. Cosa ci sarebbe di eccitante o interessante nella vendita di fertilizzanti?

D. … invece lei ha assunto una posizione decisamente controcorrente e immaginiamo non sia stato facile: cosa l’ha spinta a continuare in questa direzione?

R. La maggior parte degli appassionati allestisce gli acquari come un piccolo angolo di natura. Quindi propendo sempre verso il modo più naturale di fare le cose. Quando ho imparato che una combinazione di mangime per pesci, acqua dura e terriccio contiene tutti i nutrienti di cui le piante hanno bisogno, perché dovrei consigliare di aggiungere fertilizzanti in un acquario? L’inserimento artificiale di CO2 fa crescere rapidamente le piante, ma ti costringe ad aggiungere altri fertilizzanti per poter mantenere quella crescita rapida.

D. Sappiamo che il suo libro è stato autopubblicato: ha avuto delle difficoltà per il contenuto?

R. Fare tutte le conversioni delle quantità (da millimoli in ppm, ecc.) è stata la parte più noiosa.

D. Ci vuole raccontare della sua avventura editoriale?

R. Intorno al 1998 ho cominciato a cercare un editore accademico, ma non ho avuto risposta. Quindi ho inviato il manoscritto a varie riviste universitarie e ho ricevuto un certo interesse. Per circa un anno ho continuato a modificare il libro e a lavorare su un ulteriore capitolo («L’allestimento e la manutenzione pratica dell’acquario»). Alla fine ho optato per una rivista universitaria che era molto interessata. Tuttavia, quando si è avvicinato il momento di firmare il contratto, l’editore mi ha detto che il libro avrebbe dovuto essere ridotto sostanzialmente, forse del 50%. Le «Domande e risposte», le note a piè di pagina, ecc. dovevano essere probabilmente eliminate. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata quando l’editore mi ha chiesto di rinunciare alla normale royalty del 5% sui ricavati del libro. Mi resi conto che avrei perso il controllo del mio libro; sarebbe stato solo un piccolo costoso libro per il mercato delle biblioteche.

Ho smesso di risentirmi per quel processo editoriale così difficile quando ho realizzato quanto fosse rischioso, per un editore, finanziare il primo libro di un autore sconosciuto. Inoltre, se credevo veramente nel mio libro, avrei dovuto essere disposta a finanziarlo. Così ho trovato una tipografia competente e onesta. Non ho mai rimpianto la decisione di auto-pubblicarlo. Eliminando gli intermediari nella pubblicazione ho potuto pubblicare il mio lavoro esattamente come l’ho scritto, guadagnare un po’ di soldi e offrirlo agli appassionati a un prezzo ragionevole.

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