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Osmosi inversa e resine a scambio ionico

L’acqua prefiltrata passa al trattamento successivo che può essere di due tipi:

  • a osmosi inversa;
  • con resine a scambio ionico.

Osmosi inversa

L’osmosi inversa è un processo per la produzione dell’acqua demineralizzata; l’acqua ottenuta con questo metodo è detta spesso acqua di RO (abbreviazione dal termine inglese Reverse Osmosis).
Il processo è abbastanza semplice in quanto si sfruttano le caratteristiche di alcune membrane semipermeabili (dette appunto membrane osmotiche) che hanno la capacità, quando sono attraversate da una soluzione acquosa, di lasciar passare solo l’acqua e trattenere tutte le sostanze in essa disciolte.
Tali membrane riescono a separare gli ioni dall’acqua che li contiene fino al valore voluto di demineralizzazione.

Affinchè questo passaggio sia possibile occorre applicare alla soluzione acquosa una certa energia sottoforma di pressione che può arrivare fino a 70 bar.

Schema di osmosi inversa

Come si può vedere dalla figura precedente, l’acqua depurata (detta «permeato») attraversa la membrana ed esce dall’altra parte; dall’altro lato della membrana resta una soluzione che aumenta via via la sua concentrazione di sali (detta «concentrato» o «reietto»).
Se la concentrazione del reietto dovesse superare il limite di solubilità di una o più delle sostanze in essa contenuta, si avrebbe la precipitazione della sostanza sottoforma di sale che bloccherebbe i pori della membrana inficiandone il funzionamento («fouling»).
A causa di questo motivo non tutta l’acqua trattata diventa demineralizzata: una parte del reietto viene eliminata per evitare che la soluzione concentrata diventi sovrasatura con conseguente pricipitazioni di sali.

Per evitare che i micropori della membrana si ostruiscano, nell’acqua trattata non devono essere presenti sostanze in sospensione come fanghi, alghe e oli.
Per questo motivo, prima di essere sottoposta a questo processo, l’acqua viene quindi filtrata e clorata (come abbiamo visto nel capitolo precedente).
Tuttavia, poiché il cloro è dannoso per la membrana, l’acqua successivamente viene declorata: negli impianti industriali l’acqua viene additivata con bisolfito di sodio, mentre nei piccoli impianti domestici si usano i filtri a carboni attivi.

Impianto di produzione ad osmosi inversa
Impianto di produzione ad osmosi inversa

Per valutare l’efficienza delle membrane viene utilizzato il coefficiente di reiezione Cr, dato dalla formula:

Cr = (C1C2)/C1

Dove C1 è la concentrazione della soluzione di alimentazione e C2 la concentrazione della soluzione permeata (acqua pura).
Tale coefficiente può variare da 0 a 1: quando Cr è uguale zero la concentrazione della soluzione di alimento e del permeato è la stessa, quindi la membrana non ha potere filtrante; quando Cr vale 1, tutto il soluto dell’alimento è stato trattenuto e il permeato è costituito da acqua pura.

Un pò di storia…

Acquedotto romano
Acquedotto romano

Le prime membrane utilizzate erano a base di acetato di cellulosa; queste avevano una bassa resistenza al cloro, una temperatura massima di esercizio di 35 °C, lavoravano con valori di pH ristretti e avevano una resa di permeato limitata.

Negli anni settanta vennero sostituite da una nuova generazione di membrane in poliammide aromatica a fibre cave, con un discreto rendimento.
Queste membrane risentono molto del cloro, hanno una resistenza limitata alle basse temperature, una resa bassa di permeato ma un pH di lavoro ampio e un elevato coefficiente di reiezione.

Negli anni ottanta comparve la terza generazione di membrane, costituite da un supporto robusto di tessuto ricoperto da uno strato microporoso di polisulfone e da una membrana sottilissima e molto resistente.
Queste membrane sono molto resistenti allo sporcamento (fouling), lavorano a range di pH elevati (2÷11), resistono a temperature di 45 °C, ad alte pressioni e sono caratterizzate da un rendimento elevato.

In questi ultimi anni si stanno sviluppando delle membrane ceramiche che, oltre a resistere a temperature e pressioni più alte e a range più ampi di pH, hanno una resistenza alla forza abrasiva del permeato maggiore e quindi una vita media più lunga.
Inoltre hanno la possibilità, quando sono sporche, di poter essere rigenerate con un particolare processo.

Resine a scambio ionico

Lo scambio ionico è un processo reversibile di interscambio di ioni tra una sostanza solida – la resina appunto – e una soluzione elettrolita; il fenomeno si verifica per contatto superficiale fra le due parti, senza che vi siano modifiche strutturali nella resina stessa.

Lo scambio ionico è un processo che trova tra le sue applicazioni anche la produzione di acqua demineralizzata ed è sicuramente uno dei primi sistemi utilizzato dall’industria fin dall’inizio del Novecento.
All’inizio venivano utilizzate resine naturali come il carbone solfonato o le zeoliti (alluminio, silicati); ai giorni nostri si utilizzano delle moderne resine sintetizzate che hanno un rendimento decisamente più alto.

Le resine a scambio ionico sono delle sostanze organiche artificiali composte da una macromolecola polimerica chiamata «matrice» a struttura reticolare, indissolubile nell’acqua e che fa da supporto agli ioni positivi (resine cationiche) o agli ioni negativi (resine anioniche).

Esempio di una perla di resina cationica con gli ioni con cui è legata
Esempio di una perla di resina cationica con gli ioni con cui è legata

La matrice conferisce alla resina anche caratteristiche meccaniche come resistenza agli urti, alla compressione e agli attriti, elasticità, resistenza chimica e termica tali da sopportare le sollecitazioni durante il suo utilizzo.
Queste resine hanno forma sferica e un diametro compreso tra 0,3 e 1,2 mm.

Resine a scambio ionico
Resine a scambio ionico

Ogni perla di resina ha svariati ioni ai quali è legata da forze elettrostatiche deboli; ioni che cede alla soluzione elettrolita in cambio di ioni con cui ha maggior affinità.

Ingrandimento di resine a scambio ionico
Ingrandimento di resine a scambio ionico

Abbiamo detto che il processo è reversibile: infatti, dato che lo scambio ionico è una vera e propria relazione chimica di equilibrio, è possibile anche in senso inverso.

Così, quando la resina è esaurita, ovvero quando ha ceduto tutti o gran parte dei suoi ioni, si può rigenerare con una soluzione acida o basica a seconda del tipo di resina, in modo da riportarla alla situazione iniziale e poter ricominciare il ciclo di produzione.

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Abbiamo visto che esistono resine cationiche (in grado di cambiare ioni positivi) e anioniche (in grado di scambiare ioni negativi); vediamo di approfondire cosa sono e come funzionano.
Vi sono cinque diversi tipi di resine a scambio ionico:

  1. cationiche forti (gruppi solfonici);
  2. cationiche deboli (gruppi carbossilici);
  3. anioniche forti (gruppi ammonici quaternari);
  4. anioniche deboli (gruppi amminici);
  5. selettive (gruppi chelanti).

A noi interessano solo le prime quattro, perché le resine selettive vengono utilizzate per la loro capacità di recuperare ioni di metalli pesanti e trovano applicazione nei campi metallurgici.

Resine cationiche forti: sono resine il cui ione mobile è un catione H+ (ione idrogeno).
Queste resine si comportano come un acido forte in quanto sono in grado di scambiare con tutti i cationi nell’acqua cedendo ioni H+.
Con il loro utilizzo si avrà quindi acqua decationizzata, ovvero acqua senza cationi ma con anioni, cioè con i soli acidi relativi ai sali disciolti.

Resine cationiche deboli: sono resine il cui ione mobile è sempre un catione H+, ma si comportano come un acido debole. La resina riesce infatti a scambiare con i soli cationi legati ad acidi deboli come, ad esempio, quelli dei bicarbonati presenti nell’acqua.

Resine anioniche forti: sono resine il cui ione mobile è un anione OH (ossidrile) e si comportano come una base forte, riuscendo a scambiare con tutti gli anioni presenti nell’acqua.

Resine anioniche deboli: sono resine il cui ione mobile è un anione OH, ma si comportano come una base debole. Riescono, cioè, a scambiare solo con anioni di acidi deboli come Cl- (clorulo) e SO42- (solfato).
Riassumendo, una resina cationica scambia cationi liberando lo ione idrogeno H+ secondo la formula:

Formula resina cationica

mentre una resina anionica, scambia anioni, liberando ossidrile OHsecondo la formula:

Formula resina anionica

Se l’acqua in uscita alla resina cationica la facciamo passare attraverso una resina anionica, cioè se sommiamo le due reazioni di prima, abbiamo:

Somma delle reazioni delle resine cationica e anionica

Dato che H+ e OH si uniscono per formare H2O, abbiamo ottenuto acqua demineralizzata, priva cioè di tutti i suoi sali disciolti.

Schema resine Come abbiamo visto, le reazioni sono reversibili; possono quindi avvenire sia da destra verso sinistra che in senso contrario.
Perciò, quando una resina è esaurita, la si può riportare alla sua forma originaria rigenerandola.
La rigenerazione avviene facendola passare attraverso una soluzione acida per le resine cationiche e per una soluzione basica per le resine anioniche.
Normalmente si usa acido cloridrico HCl o acido solforico H2SO4 per le cationiche; soda caustica NaOH per le anioniche.

Fino a qui abbiamo visto un pò di teoria, ma…

… come funzionano gli impianti di produzione dell’acqua demineralizzata?

Foto di un impianto industriale
Foto di un impianto industriale di piccola portata di produzione. Si vedono, da sinistra: colonna cationica, torre decarbonatatrice, colonna anionica e letto misto

Le resine vengono poste in serbatoi detti colonne o letti.
Una batteria, composta da una colonna di resine cationiche forti e da una colonna di resine anioniche forti, è in grado di produrre acqua demineralizzata con una conducibilità che varia da 2 a 8 μS/cm.
In molti casi, alle resine cationiche e anioniche forti si abbinano delle resine cationiche e anioniche deboli, ottenendo una colonna con cationiche forti e deboli e una con anioniche forti e deboli.

Il vantaggio di tali impianti è che permettono di produrre maggiori quantità di acqua; questa è la soluzione adottata in processi, come le centrali termoelettriche, dove è necessario produrne in quantità elevate.

Se a questa batteria aggiungiamo un letto misto, ovvero una colonna particolare in cui coesistono resine cationiche forti e anioniche forti mescolate tra loro e il cui scopo è quello di scambiare con i pochi ioni che non sono stati scambiati nelle colonne precedenti, si riesce a ottenere acqua con conducibilità inferiore ai 0,1 μS/cm.

Normalmente l’acqua da demineralizzare ha un elevato contenuto di bicarbonati, cioè è molto dura.

Abbiamo detto che la resina cationica debole scambia solo con i cationi legati al bicarbonato: in uscita alla resina cationica debole si avrà quindi dell’acido carbonatico H2CO3 e anidride carbonica CO2:

HCO3 + H+ ↔ H2CO3 ↔ H2O + CO2

Per non stressare troppo le resine anioniche e renderne necessaria una quantità minore, si fa passare l’acqua decationizzata in una torre decarbonatatrice.
Questa non è altro che una speciale colonna dove l’acqua scende a pioggia attraverso piatti forati e incontra un flusso d’aria in senso contrario che elimina la CO2 («strippaggio»); lo strippaggio della CO2 sposta la reazione precedente verso destra, permettendo l’eliminazione dei sali legati ai bicarbonati.

I moderni impianti di demineralizzazione a scambio ionico sono quindi composti da una colonna di resine cationiche forti e deboli, una torre di decarbonatazione, una colonna di resine anioniche deboli e forti e un letto misto finale.

Ci si potrebbe chiedere a cosa servano le resine cationiche e anioniche deboli e perché utilizzarle, visto che non riescono a rimuovere tutti i sali disciolti in acqua.
Non si potrebbero usare solo quelle forti?
La risposta, oltre che nella maggior produzione oraria, sta nei costi: le resine deboli hanno un costo inferiore e richiedono una quantità di rigenerante inferiore, dato che basta la soluzione che ha già lavorato con le resine forti.
Si ha così un costo di impianto e di gestione inferiore.

Schema di impianto a scambio ionico
Schema di impianto a scambio ionico, composto da colonna cationica, torre decarbonatatrice, colonna anionica e letto misto

Quando le resine hanno terminato il loro ciclo di produzione, ovvero quando sono esaurite, non riescono più a scambiare perché non hanno più ioni mobili a disposizione; a questo punto la conducibilità inizia a salire. Occorre ripristinare le resine, cioè occorre rigenerarle.

Ma come funziona la rigenerazione?

Gorilla pensieroso
Vediamo se riescono a spiegarmi anche questa…

Le resine cationiche vengono rigenerate con una soluzione acida al 5-10% se si usa HCl, all’1-3% se si usa H2SO4; le resine anioniche vengono rigenerate con una soluzione basica al 2-4% di NaOH (quest’ultima deve inoltre essere scaldata a una temperatura di 30-50 °C per ottimizzare il processo).
Le resine si riprenderanno gli ioni H+ e OH rilasciando tutti gli ioni che avevano adsorbito sottoforma di cloruri e sali di sodio.

La rigenerazione può essere essere equicorrente o controcorrente, a seconda che avvenga  nello stesso senso del flusso d’acqua prodotto oppure no.

Nella rigenerazione equicorrente la soluzione rigenerante entra nello stesso senso del normale flusso di produzione dell’acqua che normalmente è dall’alto verso il basso.
Si inietta quindi la soluzione acida e basica nei filtri cationici e anionici e in questo modo si rigenerano le resine che rilasceranno andare i vari sali adsorbiti.
Queste sostanze sono quindi spinte attraverso il letto di resine fuori dal filtro, ma c’è la possibilità che una parte rimanga comunque all’interno del filtro, nella parte bassa vicino all’uscita, fuoriuscendo in seguito durante la fase di produzione.

Negli impianti a rigenerazione controcorrente, invece, la soluzione acida e basica è iniettata nel senso inverso al normale flusso di produzione, quindi dal basso verso l’alto.
Nel caso in cui una quantità di sostanze rimanga intrappolata nella parte finale del filtro,  ovvero nella parte alta, per uscire deve riattraversare lo strato di resine; in questo modo viene riadsorbita dalle resine e non c’è quindi il rischio che rimanga nell’acqua prodotta.

In qualsiasi caso, al termine della rigenerazione segue un periodo di flussaggio con acqua allo scopo di eliminare qualsiasi traccia della soluzione rigenerante.

La rigenerazione dei letti misti è un pò più delicata, in quanto le resine sono mescolate assieme.
Occorre, quindi, prima fare un controlavaggio con acqua e aria, in modo tale da separarle grazie al loro diverso peso e ottenendo in questo modo due settori ben distinti nella colonna. A questo punto è possibile iniettare le soluzioni acide e basiche necessarie.
Al termine della rigenerazione le resine riverranno mescolate.

Un letto misto comunque ha un ciclo di produzione più lungo rispetto alle altre colonne perché lavora con acqua già particolarmente pulita.

Considerazioni

Spesso si sente dire che la produzione di acqua demineralizzata attraverso resine a scambio ionico è una tecnologia obsoleta e che il futuro della demineralizzazione è nei moderni impianti a osmosi inversa.

Effettivamente gli impianti con membrane osmotiche presentano alcuni vantaggi:

  • semplicità di gestione;
  • assenza di prodotti chimici per la rigenerazione (quindi non è necessario il trattamento degli scarichi);
  • produzione di acqua a bassa salinità.

Tuttavia occorre considerare che questi moderni impianti hanno anche degli svantaggi rispetto alle resine a scambio ionico:

  • costi di installazione superiori;
  • elevati consumi elettrici;
  • spreco di notevoli quantità di acqua come concentrato di scarto;
  • necessità di un letto misto a scambio ionico per ottenere valori bassi di conducibilità;
  • elevati costi in caso di sostituzione delle membrane.

Per questi motivi, per quanto riguarda la produzione industriale di acqua demineralizzata, le resine a scambio ionico sono ad oggi la soluzione preferita per costi, versatilità e affidabilità.

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