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La legge di Henry

I fattori che governano l’equilibrio, tra l’evaporazione di un gas disciolto in un liquido e la sua entrata in soluzione, sono sintetizzati da una legge empirica dovuta a un chimico inglese:

William Henry (1775 – 1836)…

William Henry
William Henry

…che la enunciò nei primi anni dell’800.

In parole semplici, la sua legge dice che la quantità di gas, disciolto in un liquido, tende all’equilibrio (e abbiamo visto in cosa consiste), verso un valore che dipende da:

  • la natura delle sostanze in questione (liquido e gas);
  • la pressione che il gas esercita sul liquido: più è grande la pressione, più gas trovo disciolto.

In formule, la legge di Henry si può esprimere in forma molto generale, nel modo seguente (tenetevi forte perché è molto complicata, però è l’unica formula di questo articolo!):

C = kp

La concentrazione C, di un gas in soluzione, è proporzionale alla pressione p che esso esercita sul liquido.
La costante di proporzionalità k dipende sia dalla natura del gas che da quella del liquido.

Torniamo al nostro ultimo esperimento: in esso il liquido è fissato (l’acqua), mentre proveremo a cambiare il gas.
Riprodurremo, con gas diversi, la stessa pressione esercitata sul liquido stesso.

Per esempio, supponiamo di introdurre anidride carbonica fino ad avere, all’equilibrio, una pressione di 1 atm. E’ una situazione che grosso modo può capitare in una bottiglia di acqua gassata chiusa ermeticamente.
Bene, la legge di Henry ci dice che per ogni litro di acqua che ho messo nel mio recipiente, all’equilibrio, dovrei trovare poco meno di un grammo e mezzo di anidride carbonica disciolta (quasi 1500 mg/l per intenderci).
Ho scritto “dovrei”, perché l’anidride carbonica, a temperatura ambiente, oltre i 1450 mg/liltro satura e non riesce più a stare in soluzione.

Lo stesso esperimento, condotto introducendo ossigeno, porta ad un risultato simile, ma quantitativamente molto diverso.
Una bottiglia chiusa, con un litro d’acqua e 1 atm di ossigeno sopra, tenderebbe ad accumulare solo 42 mg scarsi di O2. Anche qui… “tenderebbe”; come sapete, a 25 gradi di temperatura, sopra i 9 mg/litro l’ossigeno satura (l’origine del pearling, come abbiamo visto).

Il raggiungimento di questo stato di equilibrio, in entrambi i casi, può richiedere un po’ di tempo (almeno qualche ora), a meno di non usare qualche accorgimento.
La soluzione più semplice, per accelerare il tutto, sta nell’agitare la bottiglia: ciò non fa altro che aumentare la superficie di contatto tra l’acqua e il gas; questo favorisce moltissimo i fenomeni di scambio.

Ora, facendo un confronto tra i due esperimenti, a parità di pressione esercitata (1 atm) e di solvente (acqua), i due gas (CO2 e O2) vanno entrambi all’equilibrio, ma assestandosi su concentrazioni molto diverse.
Il bello è che la CO2 entra i soluzione in quantità molto maggiore dell’ossigeno. Ma allora come mai, se agitiamo l’acqua dell’acquario con un aeratore, la CO2 se ne va, mentre l’ossigeno aumenta?
Siamo daccapo?…

No!… Abbiamo quasi tutto quello che ci serve per capire.

Facciamo un altro esperimento (l’ultimo): prendiamo una bottiglia aperta con un litro d’acqua, poi agitiamola a lungo.

bottiglia aperta

Questa volta, per accelerare il processo, possiamo anche introdurre un aeratore (e schiacciare tranquillamente un pisolino).
Quanta CO2 contiene la bottiglia, alla fine?… E quanto ossigeno?
Già… perché in effetti, nell’aria, entrambi i gas sono presenti.
Se potessimo misurare facilmente le concentrazioni in acqua, di questi due gas scopriremmo:

  • CO2: qualche mg/litro.
    Un po’ di più di quanto previsto dalla legge di Henry, perché in effetti la CO2 reagisce, anche se debolmente, in acqua. Tuttavia, questo non inficia il nostro ragionamento.
  • O2: quasi 9 mg/litro

Ma…! Come mai…?
In realtà, il motivo è semplicissimo; sono sicuro che a questo punto l’avrete intuito: i due gas esercitano una pressione ben diversa sull’acqua, perché sono presenti in concentrazioni molto differenti nell’aria.
La nostra atmosfera, infatti, è composta di ossigeno per circa il 20%, ma solo lo 0,04% è CO2. La pressione esercitata dai due gas rispecchia fedelmente queste percentuali: per l’ossigeno è il 20% di una atmosfera (0,2 atm), per la CO2 lo 0,04% (0,0004 atm).

composizione atmosfera CO2

In conclusione, nonostante la CO2 sia molto più solubile, rispetto all’ossigeno, la sua concentrazione all’equilibrio è molto bassa, se ci basiamo unicamente sulla CO2 atmosferica.
Se vogliamo tenerla più alta, nel nostro acquario, dobbiamo:

  • aggiungerla artificialmente (ovvio!)
  • evitare che le due fasi raggiungano l’equilibrio

Niente aeratore e niente cascatelle, quindi.
Ma se volessimo, al contrario, disperdere la CO2 presente in acqua, aumentando l’ossigeno, ci riusciremmo fin quasi a raggiungere la saturazione: via a cascate, giochi d’acqua e bolle dall’aeratore, che tanto piacciono ai nostri bambini…
…e che invece noi, in acquari con piante, accendiamo solo se siamo costretti.

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Lo sanno anche i pesci, per istinto.
Quando hanno difficoltà a respirare, per la troppa CO2 o il poco ossigeno, istintivamente si portano in superficie.
Ovvio, direte voi, cercano l’aria… eppure, vi siete mai chiesti l’esatto perché?
Forse che mettono la bocca o le branchie fuori dall’acqua, per respirare un po’ d’aria ricca di ossigeno?
Beh, i Betta in un certo senso sì, perché possiedono un organo atto allo scopo, il labirinto; ma normalmente, un pesce che boccheggia in superficie essenzialmente smuove l’acqua, con il nuoto e con la bocca, arricchendola di ossigeno e eliminando la CO2.

Un’altra circostanza, in cui sfruttiamo la legge di Henry, è quando vogliamo usare l’acqua di rubinetto per un cambio in acquario.
L’acqua di rubinetto contiene sempre una certa quantità di cloro, anche se sulla scheda comunale, fornita dal gestore, non ne troveremo traccia.
Si tratta di gas cloro (Cl2) da non confondersi con lo ione cloruro, Cl, la cui concentrazione, di solito, è sempre dichiarata nella scheda.

Come sappiamo, il gas cloro è utilizzato come disinfettante; sebbene a noi mammiferi (grandi e grossi) non faccia nulla nelle concentrazioni normalmente utilizzate, risulterebbe certamente dannoso per la flora batterica dell’acquario, così importante per l’equilibrio del nostro ecosistema.

Per eliminare il cloro non servono additivi o biocondizionatori: basta aspettare un certo tempo (almeno 24 ore) e sparirà da solo.
I fattori che favoriscono l’evaporazione sono essenzialmente due: la superficie esposta all’aria e la temperatura.

Per la superficie di scambio, una tinozza o un secchio sono l’ideale, con la loro larga apertura; non usate delle bottiglie, o almeno, non riempitele fino al collo.
Per quanto riguarda la temperatura, più è alta  e più favorisce l’evaporazione dei gas disciolti: essi sono infatti ben svegli ed energetici, quindi sfuggono più rapidamente dalla soluzione acquosa, per librarsi nell’atmosfera.

Si potrebbe quindi pensare di fare uscire acqua calda dal rubinetto, ma questo favorirebbe anche la presenza di metalli pesanti, presenti nelle tubature, che in acquario potrebbero alla lunga rivelarsi nocivi per gli organismi che ospitiamo.
Vi sconsigliamo quindi questa pratica: la soluzione migliore, come spesso accade con gli acquari… è non fare nulla, aspettare il giorno dopo.

Una domanda dovrebbe, a questo punto, sorgere spontanea: come mai il cloro, se è molto solubile (cioè, ha un limite di saturazione molto elevato) sfugge così facilmente dall’acqua? Naturalmente il motivo è il solito: in atmosfera il cloro è presente solo in tracce; per la legge di Henry, al raggiungimento dell’equilibrio, la sua concentrazione in acqua tende ad un valore davvero trascurabile.

Dopo questo lungo e impegnativo percorso speriamo di aver reso evidenti alcuni fenomeni che si svolgono incessantemente nei nostri acquari, affascinanti laboratori di chimica, fisica e biologia.
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