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Allelopatia: Pedersen vs Walstad

A chi si rivolge?

L’articolo di Pedersen è suddiviso in 4 parti: tre paragrafi più l’introduzione iniziale.
Proprio in quell’inizio, c’è subito una contraddizione evidente, per chi ha già letto il libro della Walstad.

Parto con la traduzione in Italiano, poi vi mostro l’originale:

Nel 1999, Diana Walstad pubblicò forse il miglior libro mai scritto sugli acquari di piante. Nel suo libro “Ecologia dell’acquario di piante“, ha dedicato un intero capitolo al fenomeno dell’allelopatia, ispirandomi ad approfondire questo affascinante argomento.

Quelle due frasi così attaccate, senza nemmeno andare a capo dopo il punto, sembrano quasi formare un tutt’uno.

Per il lettore, la sensazione non è certo negativa: l’allelopatia sarebbe un “argomento affascinante”, secondo Pedersen; alla Walstad andrebbe il merito di “averlo ispirato”, dedicando al fenomeno un intero capitolo.
Forse è per questo che lo giudica “il miglior libro mai scritto”; quantomeno, questa è la sensazione che produce nei lettori.

Subito dopo, però, arriva il gancio destro…

La mia ricerca, attraverso la letteratura scientifica, mi ha reso più scettico sull’importanza di tale fenomeno in acquario. Sono sicuro  che Diana Walstad, nel suo libro, esagera la prevalenza della vera allelopatia, negli acquari di piante.

Ecco l’originale in Inglese:

Paragrafo di introduzione dell'articolo «Allelopatia - Guerra chimica con le piante acquatiche» di Ole Pedersen
Paragrafo di introduzione dell’articolo «Allelopatia – Guerra chimica con le piante acquatiche» di Ole Pedersen

Attenzione all’ultima frase: “I am sure…” cioè “Sono sicuro…”
Non dice “suppongo”, “presumo”, “forse”… non c’è nessun condizionale.

Lui è sicuro… in virtù di una “ricerca attraverso la letteratura scientifica”… e abbiamo ben visto in cosa consiste tale ricerca: l’accurata selezione di qualche stralcio, interpretato e riadattato, per piegarlo ad una conclusione già decisa.

Per chi non lo sapesse, Ecologia dell’Acquario di Piante è quasi interamente basato sull’allelopatia, nonchè sulle sue conseguenze.

Non si tratta di “dedicargli un capitolo”; il fenomeno viene richiamato in tutte le altre parti del libro, direttamente o indirettamente.
In breve, possiamo dire che quell’opera non esisterebbe, senza l’allelopatia.

Riflettendoci un attimo… se io volessi contestare la Teoria Eliocentrica, in modo diplomatico e non troppo sfacciato, cosa potrei dire?…

– Copernico ha svolto un lavoro eccellente, ha ragione su tutto.
…Tranne quel piccolo dettaglio… sulla posizione del Sole!

Contestando quel “piccolo dettaglio”, ho messo in dubbio tutti i 6 volumi dell’opera copernicana.

In altre parole, se un terrorista volesse abbattere un grattacielo, non avrebbe bisogno di mettere esplosivi in tutte le stanze: è sufficiente far saltare il pianterreno, il resto viene giù da solo.
Sembra che Pedersen lo abbia capito benissimo, perché il suo scopo appare sempre più chiaro.

In tutta evidenza, non si rivolge a chi ha già comprato il libro, ma a chi non lo ha ancora fatto, per dissuaderlo da tale acquisto.
Più avanti, ci accorgeremo che probabilmente… non lo ha letto nemmeno lui!
Lo vedremo meglio nell’ultimo capitolo, ora non voglio rovinarvi la sorpresa.

Il primo paragrafo, dopo l’introduzione, parla di allelochimici in senso generale, quasi tutti considerati presunti.
Ci viene offerta una serie di spiegazioni sui composti fenolici, in particolare flavonoidi, terpenoidi, antocianine e tannini, con dissertazioni sui raggi ultravioletti, sulla concia delle pelli e sulle farfalle…
Tutto interessantissimo, ma non ha niente a che fare con le tesi della Walstad.

Perché lo fa?
Qual’è lo scopo di tale appesantimento, del tutto inutile alla trattazione?

Mi posso sbagliare, ma nel leggerlo mi venne in mente una frase che ho in mente fin da bambino.
Viene dal film Un Dollaro d’Onore; la pronunciò lo Sceriffo Chance (John Wayne), parlando del pistolero “Colorado” (Ricky Nelson):

Scena del film «Un Dollaro d’Onore»

– E’ così in gamba, che non sente il bisogno di dimostrarlo!

Ecco… su Pedersen ho avuto l’impressione opposta.
Quell’inutile paragrafo dà la sgradevole sensazione di volerci dire: “Vedete quante ne so?… Vedete come sono istruito?… Sono un Professore, mica uno qualsiasi!”

Pensandoci bene, non aveva altro modo.
La Walstad, per scrivere quel libro, ha condotto 8 anni di ricerche sperimentali su 40 acquari, personalmente o con alcuni collaboratori, oltre ad avvalersi di tutti gli studi precedenti nella loro completezza (non si è mai sognata di estrapolare ciò che serviva alle sue tesi).

Come poteva, il povero Pedersen, contestare un simile lavoro, avendo a disposizione solo qualche testo da ritagliare e… rielaborare?
L’unica strada era quella: sottolineare al massimo la sua reputazione accademica, inducendo i lettori ad un aristotelico “Ipse dixit”.

Leggendo le discussioni in rete, sembra che ci sia anche riuscito, almeno per un po’.
Vediamolo…

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