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Akadama e terre allofane in acquario

In questo articolo cercheremo di descrivere, in parole comprensibili, perché le terre allofane, Akadama su tutte, sono diventate così diffuse per realizzare il fondo dei nostri acquari.


Com’è consuetudine per il nostro forum, non sarà una trattazione scientifica, ma un breve riassunto delle proprietà che le caratterizzano.

Qui tratteremo concetti generali, ma per chi avesse domande o volesse approfondire, vi ricordo che la registrazione sul forum è gratuita e veloce.

Sacchi di Akadama

Prima di tutto bisogna precisare cosa sono le cosidette “terre allofane”.

Il termine in realtà è derivato dal minerale allofane, che è un silicato di alluminio amorfo, privo cioè di una struttura regolare tipica invece di altri silicati.
Si trova nei terreni di origine vulcanica, come prodotti dell’attività eruttiva.
Oltre all’allofane nei terreni vulcanici spesso vi è la presenza della imogolite, altro minerale con caratteristiche simili, che ne “potenziano” il potere adsorbente.
Ed è proprio questa caratteristica che a noi acquariofili interessa tanto!

Come già accennato, il più conosciuto nel nostro hobby è l’Akadama, un materiale utilizzato da secoli, in Giappone, per la coltivazione di Bonsai (altre notizie in merito potete trovarle in fondo, in “Curiosità“).

Quel che rende “unici” questi terreni è la loro capacità di trattenere elettricamente, sulla superficie, gli ioni positivi dei sali (i “cationi”) disciolti in una soluzione.
In seguito possono rilasciare gli stessi alle radici delle piante, con una certa facilità.

Come avviene tutto ciò?
Nell’immagine successiva viene mostrato un esempio di scambio ionico, tipico di ogni terreno; ci concentreremo poi sulle peculiarità delle terre allofane.

Schema di scambio ionico (licenza GFDL)

Cosa succede quindi “sotto il terreno”?… Dove i nostri occhi non possono guardare?
Il processo, descritto in poche righe, è questo:

  1. Nel nostro acquario, i fertilizzanti, il cibo in decomposizione, le foglie morte, gli escrementi, in pratica tutta la biomassa, si decompone rilasciando dei sali.
  2. Questi si dissociano in forma di ioni, essendo l’acqua un eccellente solvente.
  3. Gli ioni con carica positiva vengono adsorbiti dal terreno, ovvero si “fissano” elettrostaticamente, sulla superficie dei granelli che compongono il fondo.
  4. Le radici, quando ne hanno bisogno, effettuano uno scambio rilasciando uno ione idrogeno (H+) e “prendendosi” lo ione del sale necessario.

L’ultimo passaggio avviene anche con basso dispendio di energia, per le piante.
Il legame elettrico, tra la superficie dei materiali allofani e gli ioni, è infatti molto basso.

Lo schema che ho appena descritto avviene, in realtà, con tutti i tipi di terreno (anche quelli definiti “inerti”); la vera differenza con i fondi allofani risiede in un parametro: il CSC (ovvero Capacità di Scambio Cationico).
Per non entrare troppo in meccanismi complessi, dò soltanto una descrizione semplificata.

Si tratta di un valore che “quantifica”, per l’appunto, la quantità di ioni positivi per unità di superficie che un terreno riesce a trattenere.
E’ chiaro, a questo punto, che più è alto questo valore, maggiori saranno gli ioni (e quindi i nutrienti) messi a disposizione per contatto diretto alle radici!

Per rendere chiaro il potere adsorbente di questi terreni, vi mostro due tabelle.
Nella prima viene indicata la suddivisione dei terreni, in base al CSC (unità di misura: meq/100 g):

(Licenza GFDL)

Nella seconda vediamo invece il potere specifico che ha un terreno allofano:

(Licenza GFDL)

Come è palese da queste due tabelle, un fondo di materiale allofano avrà un potere particolarmente elevato nel trattenere gli ioni positivi; anzi, tra i più elevati in Natura!

A questo punto penserete: “Bene… allestisco il mio acquario con un bel fondo in Akadama, e durante la maturazione lo bombardo di nutrienti; così sono a posto per qualche mese, tanto le piante si prenderanno quel che vogliono quando ne avranno bisogno”.
Niente di più sbagliato!

Vedremo anche il perché, ma prima mettetevi comodi qualche minuto, magari con una buona birra (o thè caldo per gli astemi) perché non abbiamo ancora finito.

Le terre allofane sono, quasi sempre, anche ottimi fondi drenanti, permettono cioè un elevato interscambio tra colonna d’acqua e substrato.
Questo significa che ciò che è presente sul fondo raggiunge la colonna d’acqua con facilità (e viceversa).

Quindi, se abbiamo un fondo di questo tipo, saturo di elementi nutritivi, otterremo solo l’effetto di nutrire le alghe.
Avremmo una conducibilità altissima che bloccherebbe di sicuro le piante, ma non gli organismi meno complessi, che sarebbero gli unici ad usufruire dei fertilizzanti.
Quel che dobbiamo fare è sfruttare con intelligenza proprio le due caratteristiche insieme:

  • dosaggi corretti dei nutrienti, in modo da nutrire solo le piante;
  • possibilità di nutrire le radici, quasi esclusivamente con prodotti somministrati nell’acqua;
  • allestire l’acquario con un fondo unico sfruttando il ricircolo naturale del terreno

A questo punto qualcuno si chiederà: ma i cationi non sono legati al fondo in qualche maniera?
Sì, certamente, ma abbiamo specificato che si tratta di un legame debole, che non riesce a trattenere tutto, soprattutto se il terreno è saturo.
Inoltre la forza elettrostatica che lega i diversi ioni ha valori differenti.
Si può dare uno schema indicativo, che mostra in forma decrescente la forza con cui i cationi più “diffusi” in soluzione acquosa vengono trattenuti:

Al3+ > Ca2+ > Mg2+ > K+= NH4+ > Na+ > H+

Dallo schema precedente, si nota che tali terreni trattengono con più forza alcuni elementi, a discapito di altri.
Questo permette di sfruttare i fondi allofani anche per un’altra importantissima caratteristica, nota soprattutto per l’effetto che hanno sui carbonati e quindi, indirettamente, anche sul pH.

Gli ioni di calcio e magnesio sono maggiormente attratti dalle superfici porose degli allofani.
Questo consente di addolcire l’acqua, abbassando in particolar modo i “carbonati”; sarà dunque più facile avere acque tenere e acide.

Quindi perché non sfruttare anche questa peculiarità, se si vuole allestire per esempio un “Amazzonico”, o un altro allestimento con tali caratteristiche?
Come?… Semplice!
Faremo un fondo unico in Akadama, e nel contempo utilizzeremo la normale acqua di rete!

Questo “meccanismo” non durerà in eterno, ovviamente, ma fino alla saturazione del fondo.
La tempistica varia da vasca a vasca ma mediamente siamo nell’ordine di qualche mese.

Quindi, riassumendo in poche e semplici parole quanto detto finora:

  • sono terreni che seppur “sterili” sono delle vere “spugne” circa i nutrienti versati direttamente in colonna
  • ciò che adsorbono viene reso disponibile in maniera ottimale per le radici delle piante
  • hanno un buon potere drenante (a parte rare eccezioni) e possiamo utilizzare quasi sempre unicamente fertilizzanti liquidi
  • si possono utilizzare (anzi si consiglia di farlo) come fondi unici evitandoci tutte le problematiche di fondi doppi, tripli, ecc.
  • adsorbono carbonati e in generale abbassano molto la durezza dell’acqua permettendoci allestimenti “estremi” anche con acqua di rete

Se si vogliono sfruttare queste qualità il mio consiglio è quello di utilizzare dell’Akadama in quanto facilmente reperibile, dal costo contenuto rispetto ad altri materiali specifici per uso acquaristico e oramai “testato” da migliaia di utenti da anni.
C’è da aggiungere infatti che in molti utilizzatori asseriscono che “dà il meglio di sé” con il passare del tempo.
Probabilmente succede perché con il tempo si arriva ad un bilanciamento tra gli ioni adsorbiti e “l’ambiente acquario”.

Curiosità:

– L’Akadama è comunissimo nell’Hokkaido, l’isola più settentrionale del Giappone, tra le 4 principali.
Tutto quello venduto nel Mondo viene da lì, dove i numerosi vulcani ne producono in quantità inesauribile.

– Fin dal VII-VIII secolo d.C., in Giappone esiste la tradizione del Bonsai. Ma solo a partire dal XIV secolo, i bonsaisti di tutto il paese cominciarono a confrontarsi tra loro, in fiere e concorsi.
I pochissimi che vivevano nell’Hokkaido (ancora oggi il territorio meno popolato) erano sempre i migliori, e nessuno capiva perché.
Quando si scoprì che era merito del loro terreno, iniziò un giro di mercanti che diffusero l’Akadama in tutto il paese.

– Il termine “Akadama” significa “terreno a palline rosse“. E’ un marchio registrato, si scrive con la “A” maiuscola ed è maschile.

– Nonostante fosse conosciuto da secoli, l’economicissimo Akadama è stato introdotto in acquariofilia solo nella prima metà degli anni ’90… Proprio da chi non ti aspetti: Takashi Amano.
Già… proprio lui… che oggi, con il suo marchio ADA, viene associato alle realizzazioni più costose ed impegnative.

– Esistono diversi prodotti commerciali, specifici per acquaristica, con proprietà allofane.
Il più noto è proprio “Aqua soil” di Amano, poi ci sono il “Terra” della Elos e il “Nature Soil” di Oliver Knott. Attenzione: Non sono gli unici; solo quelli più noti.

(Alcune delle informazioni qui esposte vengono da un Maestro di Bonsai giapponese, da noi conosciuto qualche anno fa. Purtroppo non possiamo ringraziarlo perché non sappiamo scrivere il suo nome, difficilmente pronunciabile per noi Italiani.)

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